La cura degli oceani: una garanzia per il nostro presente e futuro
Roberto Danovaro
Inspirational Board member Laboratorio di Sostenibilità Economia Circolare UNISG;
Presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Istituto Nazionale di Biologia, Ecologia e Biotecnologie Marine “top scientist” mondiale nella ricerca relativa a mari e oceani nel decennio 2010-2020.
L’oceano rappresenta il passato, presente e futuro dell’umanità. La ricerca scientifica a partire dalla teoria dell’evoluzione di Darwin ha dimostrato che la vita si è originata in mare oltre 3 miliardi e mezzo di anni fa. La stessa atmosfera che respiriamo è dovuta all’azione di organismi microscopici che sono comparsi negli oceani più di un miliardo di anni fa. Il mare è fondamentale nel nostro presente, basti pensare che oltre 1 miliardo di persone dipende in modo inestricabile da esso per alimentarsi, trovando nel pesce la fonte primaria di proteine di cui ha bisogno. Dobbiamo al mare servizi ecosistemici essenziali per la sopravvivenza dell’uomo e per la qualità della nostra vita.
Basti pensare al fatto che quasi 50% dell’ossigeno che respiriamo viene prodotto dagli organismi marini, gli oceani assorbono quasi il 40% dell’anidride carbonica prodotta dalle attività industriali e svolgono un ruolo chiave nel depurare le acque raccogliendo rifiuti organici ed in organici reflui prodotti dall’uomo. Inoltre è grazie agli oceani che abbiamo il ciclo dell’acqua. Ma è nel presente che i nostri mari e oceani vivono il momento forse più drammatico da milioni di anni a questa parte, questo perché le attività dell’uomo stanno determinando impatti senza precedenti sugli ecosistemi marini. Nonostante gli effetti positivi determinati da molte azioni volte a ridurre il rilascio di contaminanti in mare (pensiamo ai depuratori e alle leggi per impedire il lavaggio delle cisterne in mare) gli oceani sono sempre più degradati. Oltre il 66% degli oceani è stato alterato, e la percentuale aumenta nel tempo, unitamente alla crescita demografica e all’aumento di consumo di prodotti del mare, a partire dal pesce. Siamo di fronte quindi a un futuro sempre più incerto. La progressiva riduzione degli spazi sulla terraferma, ci spinge verso il mare. Ma l’uso sconsiderato delle risorse biologiche e, in particolare delle attività di pesca indiscriminata, poco selettiva, spesso distruttiva sta degradando tutti gli habitat costieri e si sta spingendo fino alle maggiori profondità. L’uomo ha decimato tutti i grandi vertebrati degli oceani, riducendo le popolazioni di molte specie di squalo del 90-99%, come nel caso dello squalo bianco nel Mediterraneo. La caccia alle balene le ha decimate. Le aspettative di vita per tutti i mammiferi marini sono ridotte del 50% rispetto al passato.
L’uomo sta allungando le proprie aspettative di vita alle spese di quelle dei grandi animali del pianeta. Il futuro dei mari è reso ancora più incerto dall’impatto crescente dei cambiamenti climatici che si manifestano in modo sempre più evidente, non solo con l’aumento delle temperature, a partire dal Mediterraneo, con profondi cambiamenti nella biologia di molte specie, ma anche con una progressiva riduzione della concentrazione di ossigeno ed ampliamento delle aree oceaniche ipossiche o anossiche. Inoltre, da 35 anni documentiamo una progressiva acidificazione dei mari, proprio a seguito dell’effetto di assorbimento della anidride carbonica in eccesso presente nell’atmosfera. A questo si accompagna una crescente invasione da parte di specie non indigene o aliene che sono favorite dai trasporti merci internazionali, che viaggiano sempre di più via mare. La pesca distruttiva come quella a strascico o quella con le turbosoffianti (le cosiddette vongolare) determina un danno forte a molti habitat bentonici sia costieri sia profondi. Siamo di fronte a una vera e propria desertificazione dei fondali marini.
È come se una foresta amazzonica venisse trasformata in un campo arato. Succede in Adriatico da una a tre volte all’anno, cosi come nelle coste francesi o spagnole. In queste condizioni è impensabile un recupero, una resilienza, da parte degli ecosistemi naturali. Il decennio 2021-2030 che le Nazioni Unite hanno dedicato alla “Ricerca oceanica per lo sviluppo sostenibile” ci chiama a uno sforzo senza precedenti per invertire questa tendenza. Dobbiamo essere consapevoli che gli oceani non possono continuare a sostenere l’impatto crescente da parte dell’uomo e dobbiamo chiedere alla politica di fare la sua parte. Non basta sottoscrivere trattati internazionali, dobbiamo mantenere le promesse. L’adozione dell’Agenda 2030 dell’ONU richiede responsabilità e la protezione entro il 2030 del 30% degli ambienti marini, di cui il 10% protetto in modo rigoroso.
In Italia siamo ancora molto lontani da queste percentuali. Se mettiamo insieme tutte le aree Natura 2000 (SIC, ZSC etc) e le zone di tutela biologica, a malapena sfioriamo il 12%. Ma il 10% dei nostri mari è protetto solo sulla carta, ovvero non gestito nella pratica. Qui la pesca, anche illegale, continua senza regole e senza controllo. Dobbiamo chiedere maggiore responsabilità alle istituzioni. Ma possiamo fare molto anche a livello individuale, con scelte semplici che non richiedono grandi sacrifici e che possono risultare determinanti. Ne propongo tre: la prima è di non utilizzare la plastica monouso poiché almeno il 5% di tutta la plastica che utilizziamo finisce in mare dove viene ridotta in micro particelle che vengono assimilate nella rete trofica, arrivando poi ai pesci che in ultimo vengono serviti nei nostri piatti, con danni alla natura e alla nostra salute. La seconda è la necessità di cambiare le nostre abitudini in termini di consumo di pesce, è sufficiente scegliere pesce azzurro e molluschi allevati che sono i prodotti più eco-sostenibili, e rinunciare a tonno, pesce spada, cicale di mare, aragoste, o peggio, come avviene in oriente a zuppe di pinna di squalo, grattato di cavallucci marini, o snack di oloturie. In ultimo possiamo fare maggiore attenzione alle nostre azioni quando siamo in mare, non ancorare sulle praterie di Posidonia oceanica, non raccogliere le stelle di mare (di fatto in estinzione), insomma non depredare le creature delle nostre coste o devastare gli habitat costieri per permettere a questi ecosistemi di essere ancora lì la prossima estate ad accoglierci.