Recensioni

Il falso e il mistero si incontrano in un bicchiere

Stappo quella bottiglia, da anni conservata al riparo da luce e calore, scelgo casualmente che è adesso l’ora della sua fine. Avvicino al naso il bicchiere, faccio un timido sorso e poi uno più coraggioso, lo lascio in pace per un minuto e poi ci torno ed è tutto cambiato. “Ma cosa senti si può sapere?” Sento che è lui, è proprio lui.

Vino e Mistero, per quale ragione da millenni l’uomo rimane incantato, incuriosito e stupito di fronte a questa straordinaria bevanda? Vino e il Falso, quali miti e quali menzogne riguardano il mondo del vino?

Questi i temi delle due Tavole Rotonde tenutesi a Pollenzo il 15 e 16 dicembre scorso, in concomitanza dell’emozionante consegna delle lauree ai futuri “Wine Teller” della prima edizione del Master in Cultura del Vino Italiano. Wine Teller che dovranno armarsi per difendere la propria idea di vino, contro quella del neopositivistico vino delle “magnifiche sorti e progressive”, contro quello banale del neopauperistico “E bevi che ce stai a pensà!”, contro tutte le frodi e sofisticazioni che caratterizzano questo mercato.

È giusto quindi combattere per il vino in cui crediamo, quello naturale, quello fatto in vigna, quello tradizionale. Ma cos’è la tradizione? Non è forse solo una tappa nel cammino della storia? Il Chianti Classico è tradizione, sì peccato che storicamente si sia sempre piantato bianco nelle colline tra Siena e Firenze.

La naturalità del vino del  totale “laisser faire” , tanto pubblicizzata e idealizzata negli ultimi tempi, non si pone forse in contraddizione con la storica testimonianza della continua ricerca di domare la natura e di imporre il proprio “savoir faire”?

Il vino contemporaneo, per quanto sia impossibile etichettare un fenomeno così espanso ed eterogeneo, paga forse il pegno di essere o di tentare di essere spogliato di quel mistero che da sempre è stato suo proprio attributo. Dalle cerimonie dionisiache, ai baccanali, ai simposi, nel corso della storia, furono infiniti i tentativi di sacralizzare il mistero dell’ebbrezza del vino. Questo mistero è invece ora negato nell’atto di sputare il vino per apprezzarlo. Sebbene sia un gesto funzionale alla degustazione e all’ “oggettiva” descrizione, fa sottintendere che lo scopo primario della bevanda sia l’analitica e minuziosa rassegna dei suoi aromi e sfumature di colore, piuttosto che il godimento che si trae gustando e lasciandosi inebriare dallo stesso. Nessuno parla più infatti degli effetti del vino e di come essi cambino in base alla qualità della sostanza prodotta.

Il mistero è altresì negato nella standardizzazione del gusto del vino, volto ad eliminare ogni imperfezione, che rappresenta invece l’oggetto dell’enigma e del perché ci piaccia così tanto berlo. La purezza olfattiva e gustativa, come sottolinea Gianpaolo Gravina,  ricercata strenuamente per competere in un mercato globale, deve rappresentare solamente una tappa, superabile nel nome di quell’imperfezione che è specchio di un’autenticità, ridonando al vino la sua dimensione imperscrutabile.

I paradigmi usati nell’approccio sommelieristico alla degustazione, riducono ancora una volta la sfera misterica della sostanza, perché non lasciano più spazio all’intuizione, ma si basano solo su sfilze di aggettivi per cui questo vino sa di litchi o di ananas, come se fosse un fondamentale parametro su cui basare un giudizio. L’intuizione, nel cercare di comprendere un vino, è quel che più si contrappone alla “bulimia cognitiva” (cit. Nicola Perullo) propria del nostro momento storico, che vuole invece catalogare e raggruppare ogni sentore che giunge alla nostra percezione. L’intuizione dovrebbe invece rivendicare la propria posizione per lasciare un maggiore spazio di libertà al fruitore della bevanda.

Il mondo del vino è caratterizzato anche dal falso, che si può esplicare nelle svariate frodi che nel corso degli anni si sono susseguite, dalle più recenti sul Sauvignon Friulano o sul Prosecco, alla  clamorosa vicenda di Narzole. Il falso può essere lampante nel panorama delle più spietate logiche commerciali, fatte di Wine Kit, di enologiche pozioni in cui l’uva starebbe forse al quinto posto nella lista degli ingredienti, e di imitazioni. Tuttavia il falso è nascosto anche nel nostro modo di giudicare, perché uno sterile punteggio in centesimi non è legittimo né tantomeno rappresentativo della storia e della filosofia che stanno dietro al prodotto. Falso è il prezzo e la fama che si attribuisce al vino, perché spesso non è altro che frutto di una riuscitissima opera di marketing o di un fortunato susseguirsi di eventi che hanno portato alla celebrazione di uno Château , rispetto a quello di pochi metri vicino.

Attenzione però che il falso è dietro anche alle celebrazioni di naturalità che vantano molti produttori, perché la naturalità in sé non esiste e vuol dire tutto e niente, biodinamica o meno la barbatella piantata è frutto comunque di un’iperselezione e nessun vignaiolo non interviene con scelte studiate durante la produzione, a meno che non voglia commercializzare aceto.

Diffidate dunque anche della tradizionalità, perché ogni tradizione è di per sé solo il riflesso del momento storico a cui appartiene, ed è in continuazione superata, anche se si vorrebbe astrarla a paradigma universale. Un vino tradizionale non è per forza migliore e nemmeno specchio del territorio (amiamo i vini di Josko Gravner, che sì riprendono un’antica tradizione ma non certo appartenente alle colline del Collio).

Grazie a questi due fecondi e irripetibili incontri, che hanno visto sfidarsi, a suon di citazioni e di preziosi aneddoti storici, alcune delle più importanti personalità della critica enologica italiana, da Armando Castagno, Emanuele Giannone e Gianpaolo Gravina, a Fabio Giavedoni e Giancarlo Gariglio, si è andata a delineare la figura di quello che potrebbe essere il nuovo ambasciatore del vino, italiano e non solo.

Il gastronomo enofilo deve così essere un sapiente conoscitore delle trame culturali, dei territori d’origine, dei metodi di produzione e delle filosofie che stanno dietro ad una determinata bottiglia. Egli deve saper riconoscere il falso cercando di allontanarlo il più possibile da ciò che comunica e promuove.

Resti però un bambino nel giudizio, quanto più libero da preconcetti e schemi didattici e culturali, volto a saper riconoscere attraverso l’intuizione ciò che rende grande un vino. Spazio quindi all’immaginazione e allo stravolgimento di un linguaggio che per troppo tempo ha ingabbiato la critica globale.

Il mistero non dovrà mai essere allontanato dal vino, perché inspiegabile è il potere e la simbologia che esso possiede. Falso è solo il tentativo di banalizzarlo e di confinarlo a bene di consumo, perché è falso negare una storia millenaria.

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