Maurizio Martina all’incontro dei Partner UNISG “impatto della crisi pandemica e della guerra sulle catene di approvvigionamento del cibo”

TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO DI MAURIZIO MARTINA, VICEDIRETTORE GENERALE DELLA FAO ALL’INCONTRO DEI PARTNER STRATEGICI UNISG DEL 7/4/2022

Sono contento di poter partecipare a questa mattinata e di dare un contributo ai vostri lavori. In primo luogo vi faccio i complimenti perché quanto fate a Pollenzo è essenziale per provare a leggere con nuovi strumenti la fase storica che ci troviamo a vivere. 

Quello che Pollenzo ha fatto in questi anni, e può continuare a fare per il panorama italiano, mediterraneo e internazionale è molto rilevante. Abbiamo bisogni di ponti e il ponte della conoscenza e della formazione è fondamentale per il futuro, può porci sulla frontiera giusta d’azione per tutto ciò che riguarda il diritto al cibo. 

Mi piace pensare che questo sia uno spazio vero per la cooperazione per la pace.

Detto oggi questo suona ancora più importante perché stiamo vivendo un dramma assoluto, legato alle grandi emergenze che stiamo vivendo in questo momento: l’emergenza del Covid, l’impatto del conflitto in Ucraina, e l’emergenza climatica di cui tendiamo a dimenticarci.

Il Covid ha impattato sui sistemi alimentari per via diretta e indiretta.
In alcuni contesti – per via diretta diretta – nel corso della prima fase delle emergenze sanitaria. Inizialmente abbiamo avuto interruzioni delle forniture alimentari e rotture delle catene di approvvigionamento. Ma dopo un primo momento di incertezza, sono state superate bene.

I sistemi alimentari hanno fatto tesoro di esperienze vissute in precedenti crisi alimentari. Soprattutto con il Covid le pulsioni protezionistiche toccate con mano nella crisi del 2007 sono state fortunatamente evitate. Si sono compiute scelte di questo tipo solo all’inizio della pandemia, poi però i flussi delle produzioni hanno continuato a funzionare.

Il Covid ha impattato su tutto il sistema del cibo: la FAO testimonia che la malnutrizione e la fame cronica sono aumentate nei due anni della pandemia.

La fame stava già aumentando già prima della pandemia. Dal 2014 in poi vi è stata una tendenza all’incremento; l’emergenza sanitaria ha accelerato questo aumento, soprattutto in alcune realtà.

Per descrivere la complessità dell’emergenza alimentare possiamo ricorrere a 3 mappe: la mappa dell’incremento della fame, la mappa dell’impatto dei cambiamenti climatici, e la mappa dei conflitti. C’è una stretta correlazione tra queste tre mappe che fanno sì che molto spesso vi sia convergenza tra le tre problematiche (circa 20 paesi nel mondo necessitano interventi di carattere emergenziale, altri di tipo ricostruttivo e resiliente). 

Con il conflitto si è andata ad aumentare l’incertezza generale, e non aiuta. Ha generato volatilità, incertezza e instabilità che sono nemiche dei sistemi alimentari nel loro complesso, tanto più quando parliamo di filiere lunghe. 

Il conflitto attuale in Ucraina ha un impatto molto rilevante, perché non riguarda due paesi qualunque, ma paesi che hanno una fortissima vocazione agricola di produzione e esportazione alimentare. 

Ad oggi ci sono 50 paesi in via di sviluppo che importano il 50% del fabbisogno di grano da Russia e Ucraina.

Questo è molto impattante. Pensiamo all’Egitto, che ha 100 milioni di abitanti, in cui l’importazione del grano era altissima. O al Libano: dove le autorità hanno dichiarato che hanno riserve solo più per un mese.

Sono situazioni delicate in cui è necessario intervenire per evitare il riverbero di queste dinamiche. Evocando e ricordando quanto in queste realtà una diminuzione significativa di scorte di grano porta a conflitti e movimenti di protesta molto gravi (come avvenuto durante la primavera araba). 

E poi il tema del cibo è legato ovviamente all’emergenza principale, cioè ai popoli colpiti direttamente dalla guerra. Pensiamo ai milioni di profughi che si sono mossi dai loro paesi (e quindi anche alla relativa emergenza alimentare). In questa prima fase dell’emergenza occorrerebbe garantire che in Ucraina si possa continuare a seminare grano e colture alimentari. Ci sono aree del paese in cui si potrebbe fare. Se non possiamo farlo, significa che se oggi non semini, domani non raccogli.

Alla FAO stiamo lavorando per gestire la situazione e offrire strumenti di gestione dell’emergenza. Da qui alle prossime settimane noi rischiamo di andare in contro all’aumento significativo dei prezzi di beni agricoli primari come i mangimi. Stimiamo che questi aumenti possano arrivare fino al + 22% 

I dati dei nostri indici mostrano preoccupazione per incertezza e instabilità.

Sono situazioni complicate di grande portata. Si possono mettere in campo strumenti per gestire questa emergenza, e noi della FAO ci stiamo lavorando con altre organizzazioni internazionali. Quello che sta emergendo è che si possono fare interventi delicati per facilitare l’import e gli scambi nei vari contesti geografici di riferimento.

Pensiamo al Mediterraneo, questa è la frontiera più esposta dal punto di vista diplomatico internazionale. Qui dobbiamo tenere i flussi dei prodotti agricoli aperti. Perché così possiamo conservare la stabilità dei mercati agricoli e riconoscere il carattere di specialità di questa situazione. 

Non è semplice ma occorre controllare il fatto che non vengano a crearsi nuove dinamiche politiche difficili e conflitti attorno al discorso del cibo. 

Per questo bisogna aiutare a diversificare gli approvvigionamenti di quei paesi che per diversi motivi si trovano con una situazione complicata della loro bilancia commerciale sotto questo punto di vista. 

Dobbiamo cercare di aumentare gli strumenti di informazione e trasparenza proprio per dare a tutti la possibilità di leggere l’evoluzione della situazione. Capire da dove arrivano le speculazioni, quando esse insistono e come intercettarle prima che esplodano: per questo stiamo mettendo in essere un pacchetto di misure a disposizione dei governi.

Noi siamo anche europei – e qui svesto la mia casacca globale e torno a quella di cittadino italiano e europeo – e dico che è necessario fare un lavoro di orientamento strategico in contesto europeo anche sotto un punto di vista agricolo. 

L’autonomia strategica europea, che si è cercata ed è partita dalla questione energetica, a mio modo di vedere è interessante e giusta. Ma mi permetto di dire che consiglierei di tenere sempre un equilibrio e di non cedere a logiche di autonomia estrema anche per il settore agricolo e alimentare. 

La vera sfida è costruire un nuovo equilibrio che non accetti l’estremo di questa situazione. La mediazione tra due grandi temi:  ricostruire un concetto di sovranità alimentare nel tempo in cui viviamo che però si allontani dal concetto di sovranismo.  E fare questo lavoro sull’autonomia – che è giusta – ma tenendo ben presente che il nostro vero campo di gioco è a livello internazionale.

Quindi si tratta di muovere il gioco in modo da avere un mondo aperto e cooperativo, dove anche gli scambi commerciali sono un elemento di pace e non di conflitto.

Se noi cediamo all’idea di alimentare la discussione ideologica, (tipo pensare all’autarchia sotto casa…) questo diventa un rischio enorme e che dobbiamo assolutamente evitare. Non dobbiamo discutere così di questioni alimentari. Ci vuole un equilibrio tra apertura e autonomia ma conservando l’aspetto di internazionalità. Quindi, devono cambiare i caratteri dell’apertura.

La globalizzazione che abbiamo conosciuto fin qui ci ha portato lati positivi, ma sarebbe sciocco nascondere che ci ha lasciato anche aspetti che dobbiamo mettere in discussione.

Oggi occorre pensare a una società aperta e cooperativa e non chiusa, abbandonando l’illusione della chiusura come autosufficienza che non ci porta da nessuna parte. 

Capisco il ragionamento dell’autonomia dei beni agricoli fondamentali. Certamente sì: per fare un lavoro sulle filiere alimentari e produttive. Non lo scopriamo oggi, ma non possiamo dimenticare che abbiamo già e dobbiamo cercare anche delle altre opportunità.

Rimaniamo lucidi per usare le nostre risorse, compiere scelte che guardino più alla strategicità di un’area fondamentale come quella mediterranea e quindi anche alle sue politiche. 

Sono questi i titoli fondamentali del lavoro che dobbiamo fare.