In poco meno di dieci anni i consumi e le spese in campo alimentare degli italiani sono radicalmente mutati. Ma questo cambiamento viene realmente percepito?
Parole forti e chiare, confermate e ribadite grazie ad una molteplicità di numeri e statistiche, quelle del professor Nando Pagnoncelli il quale ha tenuto una conferenza mercoledì pomeriggio 2 marzo presso l’aula magna dell’Università. Pagnoncelli, classe 1959 e bergamasco di origine, presidente dell’IPSOS, laureato in Scienze Politiche e docente presso l’Università Cattolica di Milano, si occupa da più di trent’anni di ricerca di mercato e di opinioni. Il professore ha partecipato al programma televisivo Ballarò, in onda su Rai 3 e attualmente, invece, è il sondaggista di riferimento per la trasmissione Dimartedì, in onda su LA7.
A seguito della crisi del 2008 la distribuzione della ricchezza in Italia è andata incontro a un visibile cambiamento (eclatante il fatto che il 10% delle famiglie italiane detenga il 47% della ricchezza dell’intero Paese) e in conseguenza di ciò i consumi sono drasticamente mutati: secondo alcuni dati Istat, infatti, nel 2014 i consumi alimentari hanno visto una flessione mai vista prima. A detta del professor Pagnoncelli, questo fatto si rispecchia come un’assoluta novità, segno dei tempi contemporanei: “Non spendo in prodotti alimentari perché voglio comprarmi il cellulare nuovo.” Si riscontra, quindi, un drastico calo dei consumi dei pasti fuori casa; all’opposto, sono aumentate le spese per farmaci, tecnologia e navigazione via internet.
Un fatto è certo: la crisi ha agito in maniera universale, colpendo gli italiani indistintamente; infatti, quasi tutti hanno dovuto intervenire, chi più chi meno, per cambiare il proprio paniere di consumi. Significativo il fatto che ben il 78% degli italiani ha affermato di aver ridotto le spese. Secondo il presidente dell’ISTAT, questo calo delle spese ha portato i consumatori ad agire secondo una strategia di acquisto assolutamente nuova: “Ci troviamo di fronte ad un nomadismo di marca e di insegna” ha affermato. I consumatori, infatti, sono decisamente meno fedeli ad un determinato marchio ed effettuano acquisti in maniera più razionale. Vi è un cambiamento continuo dei punti vendita dove effettuare gli acquisti nel tentativo di accaparrarsi l’offerta migliore. Inoltre, anche la strategia pubblicitaria delle aziende è cambiata: l’effetto della pubblicità è sempre meno efficace in quanto i consumatori decidono cosa e quanto acquistare direttamente nel punto vendita.
Paradossalmente, però, nonostante la crisi, il consumatore si dichiara più consapevole per le spese che riguardano il cibo: interessano, infatti, in primis, le materie prime, la filiera di produzione e l’eventuale presenza di additivi. Oltre a ciò, il professor Pagnoncelli sottolinea il fatto che negli ultimi anni si è di fronte all’emergere di alcune nuove tendenze alimentari: i cibi di lusso – gourmet, salutistici e biologici costituiscono un mercato in crescente crescita. Nonostante ben il 49% degli italiani, generalmente assai conservatori e gelosi della propria cucina, ritenga che la globalizzazione non possa giovare alla cucina del Paese, anche i cibi etnici riscontrano un largo e crescente consumo; inoltre, si assiste ad una cucina italiana sempre più ibridizzata ed influenzata dalle tradizioni alimentari di altri Paesi. Tutto quello che è “locale” suscita sempre una sorta di sicurezza agli occhi del consumatore. Locale e globale coesistono anche dal punto di vista alimentare. Il 51% degli italiani, infatti, si dichiara disposto a spendere di più per un prodotto locale. Potremmo parlare, quindi, di una sorta di “glocalizzazione” del cibo.
Un qualche effetto positivo a seguito della crisi? Essendo diminuiti i consumi fuori casa, la convivialità casalinga ha assunto una valenza sociale significativa: la cena casalinga tra amici è diventata oramai un must del divertirsi e stare assieme. Oltre a ciò, la convivialità domestica ha perso totalmente una qualsiasi sorta di etichetta, assumendo connotati di leggerezza e facilità.
Il nutrirsi, nel suo più denso significato, sta perdendo sempre più la sua identità.
I consumatori moderni non si dichiarano disposti a rinunciare al gusto, il quale deve essere raggiunto senza compromessi (quindi possiamo parlare realmente di “gusto”?). La gratificazione al palato ad ogni costo, risultando l’obbiettivo principale delle scelte individuali, ha dato l’incipit al dilagare dei cibi “senza”, i quali però del gusto ne ricordano forse solo l’idea. Contemporaneamente le antiche ricette di famiglia stanno sempre più entrando nel dimenticatoio, vi è una ricerca ossessiva nella cura dei dettagli della presentazione dei cibi, a prescindere dai risultati reali e gustativi (anche in campo alimentare, quindi, la società dell’apparire ha preso il sopravvento): una società permeata da colossali contraddizioni, secondo Pagnoncelli.
Mentre aumentano i consumi di cibi dietetico – salutistici e si presta sempre più attenzione all’estetica del cibo, l’obesità in Italia dilaga (il 10% dei bambini italiani è obeso ed il nostro è uno dei paesi europei con il maggiore tasso di obesità), l’attività sportiva perde sempre più rilevanza e le persone sportive vengono denigrate.
Il professor Pagnoncelli si augura che la cultura nutrizionale – alimentare in Italia possa crescere, non per arroccarsi in una strenua difesa nazionalista dei cibi tradizionali del nostro Paese, ma per far sì che i consumatori effettuino dei consumi con maggior consapevolezza e prestino più attenzione alla propria qualità della vita.