Abstracts
SESSIONE 1 – CONCETTUALIZZAZIONE E PROMOZIONE DEL MADE IN ITALY NEGLI STATI UNITI DEL DOPOGUERRA
Eugenia Paulicelli (The Graduate Center, CUNY), Chiara Colombi (Politecnico di Milano), Alessandra Spagnoli (Politecnico di Milano), Dallo schermo alla pagina al museo: La mediatizzazione della moda e del nation building italiano negli scambi transatlantici 1948-1952
Il paper analizza secondo un’ottica interdisciplinare il rapporto tra i filmati della settimana Incom, riviste di moda statunitensi (Vogue, Harper’s Bazar, WWD) e mostre (“Italy at Work”, New York; IX Esposizione internazionale alla Triennale di Milano, 1951) per meglio comprendere i processi di modernizzazione, il rapporto tra artigianato e design, il ruolo della cultura commerciale e di massa nell’Italia del secondo dopoguerra e il suo impatto negli scambi transatlantici. I materiali della Settimana Incom, nelle sale cinematografiche dal 1946 al 1965, erano tra le più diffuse forme di informazione per il pubblico italiano durante i due decenni più cruciali nel processo di modernizzazione e di nation building dopo la caduta del regime fascista e la fine della Guerra. Parallelamente le riviste di moda, dal dopoguerra, iniziano a offrire una diffusa e puntuale narrazione dello “stile italiano” al pubblico americano combinando sofisticazione e informalità, radicamento alla tradizione e creatività. Inoltre, nei primi anni Cinquanta, alle consolidate Esposizioni internazionali delle Arti decorative e industriali moderne e dell’architettura moderna, ospitate alla Triennale di Milano, si affianca la mostra “Italy at work” a New York. Queste accompagnano e raccontano lo sviluppo industriale italiano indagando la relazione tra il nascente disegno industriale, le arti e l’artigianato.
Giulia Crisanti (Fordham University), Crafting Italian Modernity: Il Made in Italy tra Italia e Stati Uniti, 1949-1972
Generalmente associato al boom degli anni Ottanta, lo sviluppo del discorso sul Made in Italy affonda le radici nell’immediato dopoguerra. La definizione di un codice semantico basato sui concetti di autenticità, artigianalità e tradizione contribuì alla ricostruzione del paese, delineando un modello di modernità pienamente italiano. Questo codice di comunicazione fu usato per promuovere la produzione di beni di consumo italiani sia a livello nazionale, che internazionale. In tale quadro, l’obiettivo del mio intervento è duplice. In primo luogo, intendo fare luce sugli elementi costitutivi della retorica sul Made in Italy tra anni Cinquanta e Sessanta, attraverso l’analisi di una selezione di documentari e cinegiornali conservati nel Fondo USIS di Trieste e dall’Istituto Luce. La distribuzione di questi filmati, spesso prodotti su iniziativa dello stato, mirava a rendere la popolazione partecipe dello sforzo di ricostruzione, offrendo così l’occasione per dare una forma e un lessico all’italianità della modernizzazione. Dal loro esame emerge l’immagine di una modernità italiana capace di coniugare tradizione e innovazione. Allo stesso tempo, il mio intervento intende far luce su quale sia stato il riscontro ottenuto oltreoceano da tale retorica sul Made in Italy. A tal fine il mio intervento prenderà in esame una serie di contesti pensati per promuovere l’italianità e il gusto italiano negli Stati Uniti: dalla mostra “Olivetti: Design in Industry” realizzata dal MOMA nel 1952, alla commercializzazione di specifici prodotti italiani sul mercato americano.
Paola Cordera (Politecnico di Milano), Giuseppe Addesso (Politecnico di Milano), Dal museo alla mall: Esporre l’Italian Style of Life
Questo contributo intende esplorare il modo con cui l’«abitare all’italiana» venne promosso attraverso l’esposizione itinerante Italy at Work: Her Renaissance in Design Today (1950-1953), intesa quale vetrina internazionale per la promozione del «Made in Italy» in territorio americano.
Il «nuovo» vi veniva presentato nel solco della tradizione: i prodotti del Design erano esibiti accanto a esemplari di arte decorativa, secondo un’estetica in cui l’innovazione industriale veniva coniugata alle radici del «saper ben fare», ovvero il Bello applicato ai prodotti del consumo di massa.
Sotto il profilo allestitivo, questa dialettica si traduceva nella compresenza di un modello espositivo tassonomico in cui gli oggetti erano raggruppati per classi tipologiche e di 5 period-rooms in cui gli oggetti erano contestualizzati nello spazio domestico per cui erano stati immaginati. Avvalendosi di un approccio transdisciplinare, questo contributo si focalizzerà sul modo con cui tali scelte contribuirono al successo dell’iniziativa espositiva, insieme ai concomitanti «eventi-satellite» organizzati nei department stores. Cercherà inoltre di evidenziare l’efficacia del modello di display nel coniugare esigenze economiche e d’immagine, correlando le arti decorative, e il nuovo Design italiano, a un modo di concepire la casa, l’abitare e in ultima analisi il vivere stesso, secondo un raffinato Italian Style of Life.
Luca Cottini (Villanova University), L’immaginario del prodotto italiano negli Stati Uniti negli anni del dopoguerra
Com’è entrata l’Italia industriale in America? Come ha fatto il prodotto italiano a trasformare l’immagine negativa del paese legata all’emigrazione in un nuovo appeal o glamour, nella moda, nella tecnologia o nel design? In questa presentazione Luca Cottini esplora il rapporto tra prodotto italiano e immaginario culturale americano, tra costruzione estetica dell’oggetto industriale e penetrazione commerciale, negli anni del secondo dopoguerra.
SESSIONE 2 – DESIGN, MODA E LETTERATURA ITALIANA NEL MERCATO AMERICANO DEL DOPOGUERRA
Chiara Faggella (European University Institute), Dietro le quinte alla G.B. Giorgini, 1955-1956: Il ruolo degli
assistant buyers nell’esportazione della moda italiana verso gli Stati Uniti
Giovanni Battista Giorgini è oggi unanimemente riconosciuto come colui che rese famosa la moda italiana negli Stati Uniti. La ricerca finora si è concentrata sul ruolo intraprendente e indipendente che Giorgini ha assunto nella nascita del “made in Italy” (Vergani 1992; Pinchera e Rinallo 2017; Stanfill 2018). Tuttavia, il fatto che Giorgini contasse su una rete di collaboratori molto estesa è stato finora tralasciato nei resoconti ufficiali della storia della moda italiana. In particolare, non si sa molto riguardo alla ditta G.B. Giorgini, principale fonte di guadagno per il commissionaire toscano. Questo articolo documenta le attività quotidiane della G.B. Giorgini tra il 1946 e il 1956. Con una analisi basata principalmente sulle fonti primarie dell’Archivio Giorgini e le testimonianze fornite dalla ex dipendente Clelia Bruno Marzili, l’articolo spiega il ruolo chiave delle assistant buyers impiegate alla G.B. Giorgini. Ci racconta la storia di giornate frenetiche, di orari di lavoro illimitati, della meticolosa cura di ogni dettaglio, e di un gruppo ben oliato di giovani, esperte, e fidate assistenti. Lavorando per anticipare, accogliere, e mediare il gusto e le richieste dei clienti nordamericani, la loro storia è essenziale per capire come fu possibile conseguire la visionaria missione aziendale di Giorgini.
Giuliana Altea (Università di Sassari), Exceptional vs. Typical Ponti: La collaborazione con le ditte Singer e Altamira
La collaborazione con le ditte Singer & Sons e Altamira consolida negli USA l’immagine di Ponti come capofila di un design italiano “umanizzato”, distante dal modernismo più ortodosso; ma l’identità italiana è declinata nei due casi con sfumature diverse, come diverse sono le due aziende. Singer è una ditta affermata che si sta riposizionando nel mercato dell’arredamento moderno guardando a un pubblico medio-alto borghese. Josef Singer, con cui Ponti intreccia una stretta amicizia, gli chiede progetti semplici, adatti agli spazi ridotti delle case americane, che – osserva – segnano comunque un passo avanti rispetto all’austerità dell’International style da cui gli americani si vanno staccando. Altamira è una ditta recente, guidata dall’avventuriero olandese Jan de Vroom; il suo piglio flamboyant, più del profilo posato della Singer, è in sintonia col lato capriccioso e sofisticato di Ponti. Finché Altamira non è travolta dalla gestione avventata di De Vroom, Ponti risolve la rivalità tra le due ditte distinguendo tra una sobria produzione “tipica” per Singer e una “eccezionale”, creativamente più libera, per Altamira. Non è una strategia nata a difesa di una scelta commerciale: Ponti è il primo a credere nella propria narrativa di espressione personale, anche se estremizza il carattere “pazzo” dei suoi mobili per Altamira. Il rapporto con le due aziende si svolge sul filo di una negoziazione continua tra l’asciuttezza del modernismo classico e proposte più ricche, decorative e vistose, che secondo Ponti fraintendono le richieste del mercato americano: anche quella parte del pubblico che aspira a qualcosa di diverso dal modernismo tradizionale si muove infatti entro l’orizzonte di gusto dettato da esso.
Giulia Pellizzato (Università del Piemonte Orientale), New Directions for the Millions: Forme della modernità
letteraria italiana nell'editoria statunitense
Nel contesto del progetto culturale e commerciale di modernità proposto da due importanti case editrici del sistema culturale statunitense, le traduzioni dall’italiano offrono un interessante caso di studio. Da un lato New Directions Publishing, l’impresa di James Laughlin, che fu capace di raccogliere “the most exciting young innovators in the literature of the day” e imporli come nuovo canone letterario nonostante (o forse anche grazie a) vent’anni di bilanci in rosso. Dall’altro lato The New American Library of World Literature, fondata nel secondo dopoguerra con l’intento di vendere ai lettori di tutto il mondo presentando a un pubblico di massa scrittori che fino a quel momento erano stati considerati “too literary for the general reader”.
Per esplorare il versante editoriale e letterario dei consumismi transatlantici moderni sarà indispensabile chiarire, innanzitutto, quale fosse il posto dell’oggetto-libro nella vita e nell’esperienza dei lettori fra le due sponde dell’Atlantico. Su questa base, analizzerò i discorsi intertestuali sull’Italia e la fiction italiana dalla prospettiva delle traduzioni edite presso New Directions e New American Library. Dalle copertine ai blurb, la letteratura italiana presentata oltreoceano è una geografia complessa di innovazione, echi premoderni e world literature ante litteram.
SESSIONE 3 – SOGNI E BISOGNI TRANSATLANTICI: PRODOTTI, SIGNIFICATI E STILI DI CONSUMO
Marta Averna (Politecnico di Milano), Ambasciatori d’Italia: Identità italiana e sintesi delle arti nei transatlantici
del Secondo dopoguerra
Le navi passeggeri, che nel dopoguerra trasportavano soprattutto emigranti verso il sogno americano, negli anni Cinquanta portano in direzione opposta, per desiderio di conoscenza diretta dell’arte, dello stile di vita, della cultura e della storia europee, un numero crescente di turisti.
Nelle loro cabine e spazi comuni le navi mettono in scena l’identità del paese da cui provengono: come scrive Ponti nel 1950, sono un pezzo d’Italia, che rappresenta gli aspetti superiori di maggior prestigio del gusto, della cultura, delle arti, dell’artigianato italiano. Raccontano l’Italia per come era e vorrebbe diventare, attraverso un presente significativo e ricco di possibilità, e lo fanno in un modo specifico, mettendo a sistema diverse arti, personalità e professionalità, con un disegno d’insieme coerente con quello di dettaglio. Un modo sorprendente per il pubblico americano, che dopo i viaggi e le visite guidate lo racconta con ammirazione mista a sconcerto, come si legge tra le righe delle recensioni entusiastiche, in cui tornano le parole bizzarro, unico, sibarita: un immaginario elegante a cui si tenta di aderire, che in un unico movimento da forma all’identità nazionale italiana e apre alla diffusione sul mercato americano dei prodotti che la contraddistinguono, oggetti, arredi, comportamenti e stili di vita.
Giuseppe Gatti (Università Roma Tre), Out of This World: La promozione visuale dell’aperitivo italiano
nell’America del dopoguerra
La cultura del consumo dei prodotti italiani in America, costruita all’interno dell’ampio sistema di scambi transatlantici avviato alla fine del XIX secolo, ha giocato un ruolo chiave nei processi identitari di Italia e Stati Uniti del secondo dopoguerra (Cinotto 2014). Se la diffusione dell’advertising moderno rivestì un importante ruolo di “mediazione culturale” e non solo commerciale (Fasce 2012), le pubblicità dei prodotti italiani persuasero la classe media americana a poter fare esperienza del lifestyle italiano consumando i suoi prodotti d’esportazione e contribuendone all’ammodernamento delle pratiche di consumo (Zanoni 2014). In questo senso, la storia dell’esportazione del così detto “aperitivo italiano” in America – insieme prodotto, brand e rito di consumo – è un caso esemplare. Se dagli anni Dieci il connubio fra artisti e produttori di liquore italiani (in particolare Campari) aprì la strada verso un moderno “sentimento artistico della promozione”, vini aromatici e amari italiani hanno profondamente inciso sulla moderna “cultura cocktail” statunitense fatta di immaginari, stili di consumo e dolci vite (Lanza 1995; Adinolfi 2000).
Combinando la storia produttiva e promozionale dell’aperitivo italiano con l’analisi iconografica di alcune pubblicità, nella prima parte del paper proporrò una genealogia della “cultura visuale” dell’aperitivo italiano in America dedotta dallo spoglio preliminare di documenti d’impresa, studi di mercato e illustrazioni pubblicitarie apparse in alcune delle principali riviste americane (Life, The New York Magazine, Ebony, ecc.). Nella seconda parte mi concentrerò sulla campagna americana “Out of this world” di Campari degli anni Cinquanta e Sessanta, analizzando il materiale iconografico e le carte d’impresa reperite presso l’archivio Galleria Campari. Da questa prima analisi, lo spirito e gli spirits italiani sembrano “miscelarsi” efficacemente nella diffusione di una cultura del consumo fondata sui valori cosmopoliti di versatilità, convivialità, piacere e sofisticatezza che, insieme ad altre espressioni del Made in Italy, influenzerà le pratiche sociali e culturali dell’America del dopoguerra.
Marco Bracci (University of Minnesota Firenze), Nel blu dipinto di blu: Storia e consumo culturale di un brano
“Made in Italy” da Sanremo 1958 ai Grammy Awards
Festival di Sanremo 1958: Nel blu dipinto di blu riscuote un successo immediato in Italia e negli USA, diventando il brano “Made in Italy” più internazionale della popular music italiana. Il 1958 è l’inizio del “boom economico” che pone le basi per un cambiamento epocale per l’Italia; vi è l’avvento della società dei consumi: prodotti materiali e culturali, quelli iconici del nascente “Made in Italy” e quelli esteri (soprattutto americani) mutano le pratiche di consumo degli italiani che apprezzano anche le svolte stilistiche impresse dalla popular music italiana, come nel caso di Nel blu dipinto di blu che rappresenta simbolicamente il bisogno di apertura dell’Italia, proiettata verso il futuro, e che diventerà un prodotto culturale consumato dal pubblico statunitense e italo-americano. Il 1958 “americano” di Nel blu dipinto di blu lascerà tracce indelebili, nelle Billboard charts, con la vittoria di due Grammy Awards, e tramite le sue molteplici cover prodotte da illustri esponenti della popular music americana. L’accoglienza di Nel blu dipinto di blu negli USA contribuisce a infrangere l’immagine stereotipata dell’Italia presso i pubblici statunitensi, comunicando la complessità dell’identità di un Paese che si sta modernizzando, e spingerà in seguito altri musicisti italiani a guardare al mercato discografico statunitense.