PARTE 2
OCEAN GRABBING: WEALTH O WELFARE?
Cos’hanno in comune Olivier de Shutter, studioso belga di diritto e Jean Ziegler sociologo e politico svizzero? A parte l’essere entrambi originari culturalmente del continente europeo, sono le uniche due persone sul nostro pianeta ad aver ricoperto finora il ruolo di Special Rapporteur on the Right to Food dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Lo Special Rapporteur è un esperto indipendente che lavora su mandato del Consiglio per i Diritti Umani, che come dice la parola stessa si occupa di esaminare e poi portare all’attenzione delle Nazioni Uniti il delicato tema del diritto al cibo nel mondo. E’ figura interessante, dotata di notevole indipendenza, e per questo non ha esitato a denunciare molti dei malfunzionamenti del sistema agroalimentare globale, che spesso erodono il diritto al cibo di intere popolazioni.
Oggi vorremmo prendere spunto da un documento del 2012 (de Shutter, 2012) in cui l’attuale Special Rapporteur Olivier de Shutter ha sottolineato il rapporto complesso esistente tra la gestione della pesca ed il diritto al cibo, che “giornalisticamente” venne ripreso dalle agenzie di stampa, utilizzando il concetto di ocean grabbing, traducibile in italiano con l’espressione accaparramento dell’oceano.
A qualcuno sarà forse più familiare il concetto di land grabbing, ovvero di accaparramento delle terre, fenomeno crescente, preoccupante, che ha visto casi anche eclatanti finiti sulla stampa e che va a colpire i piccoli agricoltori a vantaggio di grandi investitori spesso internazionali. Nel caso del land grabbing, il grabber riesce spesso ad ottenere diritti di proprietà, in situazioni in cui i diritti di proprietà sono spesso informali, senza censimento delle proprietà, spesso legati a usanza o abitudini. Se vogliamo è un comportamento illegale o magari border line che si alimenta sovente con atti di corruzione ed altro. Certo, la letteratura economica non è così monocorde nel condannare il land grabbing e addirittura organismi internazionali ne sottolineano i possibili vantaggi (Cotula et al., 2009).
Invece nel caso dell’Ocean grabbing il discorso si fa un po’ più complesso. Innanzitutto non esiste una proprietà del mare ma al più un diritto di pesca, in quanto il mare appartiene al demanio nel suo tratto più vicino alla costa per poi diventare “terra di nessuno” o “di tutti” quando si entra in acque internazionali. Secondariamente, mentre il prodotto dell’agricoltura difficilmente è spontaneo e quindi viene ottenuto solo previa coltivazione, il pesce è quello che Elinor Ostrom, economista Premio Nobel 2012 definisce come bene collettivo (Ostrom, 2006). Un bene collettivo è, per sua definizione, non escludibile, ma dotato di rivalità, ovvero la pesca effettuata da taluni operatori economici, limita i quantitativi di pescato degli altri. La terza differenza fondamentale rispetto al land grabbing è la mancanza di investimenti dell’ocean grabbing. Se infatti le coltivazioni lasciano comunque sul terreno investimenti in termini di miglioramenti fondiari o viabilità rurale o altro, nel caso dell’ocean grabbing non abbiamo nulla di tutto questo, se non l’impoverimento costante delle risorse ittiche, a causa dell’overfishing.
Gli effetti dell’ocean grabbing hanno ripercussioni profonde sia dal punto di vista sociale ed ambientale: accordi tesi ad escludere dalla pesca i piccoli pescatori e le loro cooperative, catture di pesci illegali o non segnalate, incursioni nelle aree marine protette, sviamento dei prodotti della pesca verso i mercati più ricchi a discapito del consumo delle popolazioni locali costiere (de Shutter, 2012).
Quando si parla di agroalimentare globale spesso gli attori sono i medesimi anche se a cambiare sono le filiere. Immaginiamo di trovarci di fronte ad un rombo, inteso non come pesce, ma come figura geometrica. Su un vertice abbiamo i grandi operatori economici che si inseriscono in filiere globali, spesso di paesi avanzati, che fanno la parte degli accaparratori; si tratta di grandi imprese di pesca dei paesi più sviluppati o almeno posseduti da grandi imprese capitalistiche. Al vertice opposto ci sono piccoli operatori locali, normalmente in difficoltà; nel nostro caso sono le piccole cooperative di pescatori. Il terzo vertice è occupato dai consumatori dei paesi avanzati, che come ricorda Marion Nestle (Nestle, 2002) possono votare con la forchetta o, aggiungiamo noi, mobilitarsi al momento del pranzo o della cena, ed infine, nell’ultimo quarto vertice, i consumatori o meglio i non consumatori dei paesi in via di sviluppo. Al centro nel punto di incontro delle diagonali si trova la politica le cui decisioni influenzano i quattro vertici e al tempo stesso ne è influenzata (soprattutto da alcuni attori). Cercheremo con alcuni casi studio di spiegare i legami che si sviluppano all’interno del rombo.
Prendiamo ad esempio il caso di come la politica influisce selettivamente sul successo/insuccesso delle cooperative di pescatori locali, in favore di imprese capitalistiche di pesca. In Sudafrica è stato introdotto il sistema degli ITQ (Individual Transferable Quotas). Come ha ricordato l’Ong Masifundise a Slow Fish 2013, il sistema di attribuzione è fortemente spostato verso le grandi marinerie a discapito delle piccole. Questo è vero in Sud Africa come in altri parti del mondo (Criddle, Macinko, 2000). Il sistema delle ITQ ha mostrato più di un difetto, in particolare ha provocato un impoverimento delle popolazioni costiere con conseguenti costi sociali molto elevati (Isaacs, 2011). Grazie all’azione di Masifundise e dell’Associazione dei pescatori artigianali, attraverso un class action si è arrivati ad una ridiscussione del sistema anche perché la Corte Suprema nel 2007 aveva riconosciuto che “new policy and legislative process needed to be developed by all parties con-cerned that would include all traditional fishers in South Africa and accommodate the socio-economic rights of these fishers” (Isaacs, 2011)
Un esempio sui legami tra consumatori dei paesi sviluppati e non consumatori dei paesi in via di sviluppo è rappresentato dal Perù. L’anchoveta peruviana è una specie che abbondantemente risiede vicino alle coste peruviane. Purtroppo pur essendo una fonte di acidi grassi omega 3, proteine etc. viene per la maggior parte trasformata in fish meal e oil fish e instradata, come mangime, verso gli impianti di acquacoltura dei paesi avanzati. Purtroppo il Perù è un paese in cui la malnutrizione soprattutto infantile non è assente, e quindi, come già è stato evidenziato (Wijkström, 2009), lascia abbastanza perplessi come un alimento negletto ma prezioso, come l’acciuga non finisca sulle tavole dei peruviani, ma negli stomaci delle orate europee o cinesi.
Esistono esempi positivi? De Shutter nel suo documento ne cita due. Il primo è la regolamentazione della pesca nel lago di Ton Le Sap in Cambogia, uno dei più grandi laghi interni del mondo che fa parte del bacino orografico del fiume Mekong, vero e proprio asse portante di tutta l’Indocina. In questo lago i diritti di pesca sono stati resi “community based”, scegliendo in questo modo una gestione welfare based e non wealth based, cioè una gestione che ha come fine ultimo il benessere e non la mera ricchezza. Si veda ad esempio il numero speciale di International Journal of Water Resources Development (AA.VV., 2006)
IL secondo esempio citato dallo Special Rapporteur è la scelta da parte dello Stato delle Isole Maldive nell’Oceano Indiano di limitare al pesca la tonno solo alla tecnica “pole and line” ovvero lenza e amo. Anche in questo caso la politica ha compiuto delle scelte particolari che alcuni economisti non hanno mancato di stigmatizzare (Sinan, Whitmarsh, 2010). Tale scelta è quella di attuare il management della pesca, superando la visione meramente wealth based, per giungere ad un principio di gestione welfare based, in cui il benessere multidimensionale delle popolazioni locali viene anteposto al semplice calcolo ragionieristico del percepimento di una rendita per lo sfruttamento da parte di grosse marinerie magari straniere, di un bene collettivo come le risorse ittiche.
Il futuro della pesca e delle risorse ittiche non è certamente scevro da considerazioni negative. E’ già stato evidenziato come al crescere della dimensione delle imbarcazioni ed in generale delle imprese, si riduca pesantemente la sostenibilità del settore ittico (Jacquet, Pauli, 2008), in termini di consumi di carburante per quantità di pescato, per scarti ittici e per riduzione dell’occupazione e si rimanda alla bella tabella presente nella pubblicazione precedente citata e riportata anche dallo Special Rapporteur (de Shutter, 2012).
Tre sono quindi, come riportato nel medesimo documento le sfide principali per il futuro della pesca e del patrimonio ittico mondiale: il perseguimento di politiche che mirino a correggere e a contrastare l’overfishing, il ripensamento della gestione della pesca export-oriented come nel caso dell’anchoveta peruviana ed infine la tutela della piccola pesca e con essa di tutte le comunità costiere e delle cooperative di pescatori.
La speranza di tutti è che le risorse ittiche nel futuro, vengano gestite non solo per la rendita (Béné et al., 2010), ma aggiungiamo noi, anche per il benessere e lo sviluppo di tutte le popolazioni coinvolte.
Bibliografia
AA.VV., (2006) Special Issue:Integrated water resources management on the Tonle Sap Lake Cambodia, International Journal of Water Resources Development Volume 22, Issue 3.
Béné C., Hersoug B. and Allison E.H. ((2010) Not by Rent Alone: Analysing the Pro-Poor Functions of Small-Scale Fisheries in Developing Countries Development Policy Review, 2010, 28 (3): 325-358
Criddle K., MAcinko S. (2000) A requiem for the IFQ in US fisheries? Marine Policy, Volume 24, Issue 6, November 2000,Pages 461-469
Cotula L., Vermeulen S., Leonard R., Keeley J. (2009) Land grab or development opportunity? Agricultural investments and international land deals in Africa, IIED/FAI/IFAD, London//Rome ISBN: 978-1-84369-741-1
De Shutter (2012) Fisheries and the right to food. The interim report of the Special Rapporteur on the right to food submitted in accordance with General Assembly resolution 66/158. (
Isaacs M. (2011) Individual transferable quotas, poverty alleviation and challenges for small-country fisheries policy in South Africa, MAST 2011, 10(2): 63-84
Jacquet J., Pauly D. (2008) Funding Priorities: Big Barriers to Small-Scale Fisheries, Conservation Biology, Volume 22, No. 4, 832–835
Nestle M. (2002) Food Politics: How the Food Industry Influences Nutrition and Health UC Press.
Ostrom (2006) Governare i beni collettivi, Marsilio.
Sinan, Whitmarsh (2010) Wealth-based fisheries management and resource rent capture: An application to the Maldives marine fisheries Marine Policy, 34 Pages 389–394
Wijkström, U.N. (2009) The use of wild fish as aquaculture feed and its effects on income and food for the poor and the undernourished. In M.R. Hasan and M. Halwart (eds). Fish as feed inputs for aquaculture: practices, sustainability and implications. Fisheries and Aquaculture Technical Paper. No. 518. Rome, FAO. pp. 371–407