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Viaggio alla frontiera della gastronomia conosciuta

Chi lo avrebbe immaginato? Il distretto di Riga, capitale del piccolo stato baltico della Lettonia, è stato nominato Regione europea della Gastronomia per il 2017.

Riga, dunque, è una delle nuove capitali gastronomiche europee. Lo scorso Dicembre sono stato invitato dall’ufficio del turismo della regione per esplorare, insieme ad altri professionisti della gastronomia, il paese dalla prospettiva della cucina: se me lo avessero detto venti anni fa, non ci avrei creduto.

Come si è arrivati fin qui? Questo piccolo grande segnale rivoluzionario da inizio di terzo millennio trova la sua origine a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, a partire dalla fine dell’egemonia francese sull’alta cucina e sulla ristorazione gastronomica – una fine sancita dal dominio di Ferran Adrià sull’avanguardia culinaria – e poi con la parallela emersione, su scala planetaria, dell’idea del cibo locale come valore fondante.

Il movimento della glocalizzazione, insomma, alla cui guida possiamo mettere senza tema di smentita Slow Food e Carlo Petrini. Se, infine, dovessimo trovare una sintesi tra Adrià e Petrini, per indicare la fonte diretta della scoperta e della valorizzazione di nuove cucine quale quella lettone, fuori dal contesto moderno e dai circuiti della gastronomia classica, allora la figura di Renè Redzepi e la sua creatura, il Noma di Copenaghen, costituirebbero l’anello mancante.

Riga può essere diventata città europea della gastronomia perché si è sviluppato un movimento, la Nuova Cucina Nordica, fondato da chef Redzepi e da Claus Mayer nel 2003, con un manifesto in dieci punti dove sono elencati i valori di una cucina: etica della sostenibilità, stagionalità, e soprattutto uso delle materie del territorio (sebbene un territorio inteso in senso molto vasto, un significato di territorio molto diverso da quello delle provincie, dei villaggi e dei campanili a cui siamo abituati nella cultura gastronomica italiana).

Il fenomeno Riga, una città bella e calma, elegante e crepuscolare, dove già nel Gennaio di quest’anno si è svolto un notevole festival di street food (il Riga Street Food Festival) va inserito in questo contesto. Più in generale, nel movimento globale per cui oggi ogni paese cerca un’identità glocale attraverso la connessione col cibo. Nello specifico della storia lettone, però, ci sono naturalmente alcuni fatti particolari di cui è necessario tenere conto: senza andare troppo indietro nel tempo, il rapporto con il mondo russo.

La Lettonia è uno Sato indipendente dal 1991, quindi i segni del recente passato sono ancora presenti anche nel rapporto col cibo. Questo è il primo elemento affascinante di questa storia: il tentativo di svincolarsi dai lacci del sovietismo da parte di una nuova generazione di giovani glocal chef, tatuati come da ogni parte del mondo ormai ma che intendono lavorare con prodotti locali in un contesto difficile, sia per motivi geoclimatici che per tradizione culturale.

Per quanto ho avuto modo di verificare frequentando alcuni ristoranti della nuova scena lettone, questo tentativo è in pieno svolgimento:  avrà bisogno ancora di tempo per trovare una sua definizione, una sua originalità – a volte appare ancora un po’ troppo soggiogato ai modelli dei maestri della nuova cucina nordica e alle tendenze che altrove si sono già sperimentate; e tuttavia, corre veloce e diritto, anche perché non c’è il peso, talvolta la zavorra, della “tradizione” da venerare come fosse museo. Insomma, c’è ingenuità ma anche molto entusiasmo e libertà. Il prossimo futuro potrebbe regalarci molte belle sorprese.

Qualche parola infine sui prodotti, sui mercati e sul paesaggio lettone, colti in modo impressionistico e rapido. Il mercato generale di Riga è molto grande – il più grande dell’ex URSS, pare, e uno dei più grandi d’Europa – e decisamente bello, interessante e significativo della produzione nazionale. Come in tutti i paesi con inverni lunghi e freddi, anche in Lettonia c’è una grande quantità di verdure fermentate, di pesci affumicati e di carne, in particolare maiale. Fuori dalla città, la natura nordica imperversa: boschi di betulla (il succo di betulla è molto tipico), grandi foreste piene di alberi altissimi e laghi.

prof Nicola Perullo

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