Persone

Un Master a Pollenzo mi ha cambiato la vita…

A oltre un anno di distanza da una esperienza prolungata, si possono già tirare le somme sull’esito positivo o meno della stessa.  E come spesso mi è capitato di rispondere a chi mi avesse chiesto come fosse stato il Master in Food Culture & Communications – Human Ecology & Sustainability, la mia risposta è sempre stata la stessa: mi ha cambiato la vita.



Partiamo da una premessa: questo non vuole essere un articolo promozionale dell’Università di Scienze Gastronomiche, bensì vuole riportare un’esperienza soggettiva, che magari potrà aiutare a fare chiarezza per chi non avesse ancora le idee chiare su questo Master e non sapesse che cosa aspettarsi. La risposta infatti è chiara: qualunque cosa.

Una delle tante cose che ho potuto imparare è che ad ognuno corrisponde il suo, e che quindi ciò che una persona può apprendere o assimilare da un qualunque tipo di esperienza dipende ovviamente dal singolo, e non dall’esperienza stessa.

Ho avuto la fortuna di poter visitare posti inarrivabili altrimenti se non grazie all’Università e a Slow Food, che spaziano da un villaggio di venti anime incastonato nelle vallate del nord dell’Albania, raggiungibile solo a piedi in 45 minuti di cammino, per poi scoprire che in un luogo del genere non solo l’uomo è presente, ma riesce a vivere molto meglio che in altre realtà cosiddette più avanzate. Qui abbiamo mangiato fegato di capra stufato e cipolla cruda dolcissima, che non credo mai dimenticherò.

Ho avuto modo di fare esperienze da un estremo all’altro del sistema alimentare; qualche mese dopo eravamo comodamente seduti all’Harry’s Bar di Londra, propagazione naturale del celeberrimo omonimo veneziano (quello dove è nato il Bellini, per intenderci), dove il Restaurant Manager, che ci ha accolti nel suo unico giorno di riposo, ci ha spiegato le scelte effettuate nella cucina del suo ristorante.

Questi sono luoghi che abbiamo avuto la fortuna di visitare grazie al Tutor Office (uno dei tanti valori aggiunti dell’Università, a mio avviso ciò che la rende unica al mondo), ossia il dipartimento che si occupa di organizzare i viaggi didattici in giro per l’Europa (6 in 9 mesi): perché una delle cose che ho avuto modo di apprendere è che non si può comprendere un alimento se non si calpesta la terra dal quale proviene e non si parla con le persone che ne salvaguardano la sua trasmissione.

Partiamo da quelli che erano i miei crucci principali: sono all’altezza? Varrà l’investimento? Prima di iscrivermi avevo studiato Lingue e fatto il cameriere in Portogallo. Immaginando il background medio dei miei compagni (qualcuno aveva fatto presentazioni per il Cremlino, e qualcun altro aveva servito Putin al tavolo!) continuavo a chiedermi sia quanto potesse essere realistico riuscire ad entrare, sia come poter reggere il confronto con compagni di questo calibro, essendo appena laureato triennale.

In verità questo è stato un enorme punto di forza e di crescita, perché  non è solo sui banchi di scuola che si imparano le lezioni, ma spesso grazie all’interazione tra studenti.

Master in Food Culture & Communications

Ero il più giovane in classe e ciò che pensavo potesse essere un punto di debolezza si è rivelato un punto di forza. Ho avuto modo di osservare da chi aveva molta più esperienza alle spalle, quale fosse la dialettica lavorativa per affacciarsi e interagire nel mondo del lavoro. E inoltre: la maggior parte dei miei compagni non solo erano stranieri, ma addirittura venivano da paesi extra europei.

Per quanto riguarda l’investimento da sostenere invece, vi sono finanziamenti agevolati che prevedono la restituzione del prestito a un anno dalla laurea, in modo da poter trovare lavoro, con rate più che accettabili.

Altro grandissimo punto di forza non risiede solo nell’aspetto formativo, ma anche il fare parte della rete più bella del mondo: Slow Food. Le aziende, le organizzazioni internazionali, le riviste e le realtà di ogni tipo collegate con l’Università sono infinite. Solo a Pollenzo è possibile ottenere una rete di contatti così varia e presente in qualunque area del sistema alimentare. Così come le possibilità lavorative sono infinite e le più diverse.

Nel mio caso ho iniziato a collaborare con il gruppo di redazione di Slow Wine, prima scrivendo recensioni delle degustazioni effettuate in Banca del Vino, poi accompagnando i redattori della guida in visita per le cantine di Langa, ed in contemporanea effettuando uno stage formativo presso la produttrice Chiara Boschis a Barolo. Nell’uno e nell’altro caso i ringraziamenti nei loro confronti non saranno mai abbastanza.

Dopo questa breve, ma significativa esperienza, grazie al sito del Career Office dell’UNISG ho trovato un’offerta per Head Sommelier a Londra, nel ristorante vincitore del premio “Best Restaurant” degli Slow Food London Awards. Ho fatto richiesta e sono stato scelto.
In seguito ho conosciuto un importatore di vini italiani con il quale è stato “amore a prima vista”: per lui ora mi occupo nelle vendite e rifornisco i migliori ristoranti della city.  Lavoro che, non appena ho scoperto il mondo del vino, ho capito essere naturale conseguenza di ciò che avrei voluto fare da grande.

Penso sempre all’intensità e  alla quantità di esperienze avute a Pollenzo. Non sarò mai grato abbastanza per le opportunità avute quell’anno, così come della possibilità di aver incontrato persone speciali  durante questo breve, ma fondamentale cammino.

Per chi si sta iscrivendo, il vero problema sarà poi, non tanto ciò che succederà durante quell’anno (tanto, tantissimo), ma una volta terminato il corso, continuare a lottare per la gastronomia di oggi e di domani, per raddrizzare la prua di questa nave alla deriva, che è il nostro sistema alimentare. E là fuori credetemi, di lavoro da fare, ce n’è davvero parecchio.

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