Il 7 luglio 2016 è nata la “birra artigianale italiana”. Sì, è vero c’era già prima, ma il 7 luglio le è stata data la carta d’identità: la birra artigianale esiste per legge ed è qualcosa di diverso da quella industriale.
Con la mia classe del Master di Cucina Popolare Italiana siamo andati a Pederobba, provincia di Treviso, a trovare uno dei mastri birrai più promettenti d’Italia: Fabiano Toffoli. Qui abbiamo visitato il suo micro-birrificio 32 Via dei birrai.
“È stato il nostro grafico a scegliere il nome – ci racconta Fabiano – quando è andato in Camera di Commercio ha visto che 32 è il numero merceologico della birra, per il vino è 33. “Via dei birrai” l’ho aggiunto io in onore alla Rue des Brasseurs di Bruxelles”.
Eccoci dunque nello stabilimento nella zona industriale: qui Toffoli apre le enormi ante del birrificio e inizia il nostro viaggio nella birra artigianale italiana, partendo dai sacchi di malto e di luppolo, passando per la sala di cottura con le sue enormi caldaie in ebollizione e i suoi fumi profumati, per finire in sala degustazione a studiare gli abbinamenti birra-cibo.
Questa azienda nata nel 2006, che già nel 2009 aveva all’attivo sei linee di birre artigianali per un totale di mille ettolitri l’anno, oggi supera i tremila ettolitri e i due milioni di euro di fatturato. Le linee sono diventate otto, quattro chiare e quattro speciali, tutte ad alta fermentazione (lieviti della famiglia dei Saccharomyces cerevisiae che lavorano tra i 12 e i 23°), rifermentate in bottiglia.
Apriamo una piccola parentesi e cerchiamo capire la differenza tra una birra industriale e una artigianale. Almeno dal punto di vista normativo, il d.d.l. S 1238 B parla chiaro: “Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi”.
Fabiano Toffoli (che era membro della commissione che ha redatto la legge) afferma che: “Si poteva fare molto meglio, ma ci hanno dato poco tempo: buono il vincolo dell’indipendenza e buono il limite produttivo, ma mancano tanti altri fattori e specificità che non abbiamo potuto trattare. Ad esempio la questione della microfiltrazione, il concetto di “micro” è soggettivo. Ma è un passo sicuramente nella giusta direzione”.
In sala degustazione chiedo a Fabiano di raccontarmi il suo birrificio: “Le materie prime provengono da tutta Europa. Mi piacerebbe comprare di più in Italia, ma per il momento non c’è ancora la qualità e l’organizzazione di cui ho bisogno per la mia birra. Quindi prendo il luppolo in Belgio direttamente dal coltivatore. Il malto lo prendo soprattutto in Germania, lavoriamo con quello acidulato ‘sauermalz’, che favorisce la salivazione e conferisce il senso di fresco alla birra, quello super-tostato e il caramellato. Li uso in miscela per avere aromi complessi, in combinazione con svariate spezie”.
Li abbiamo assaggiati tutti ed è vero, le birre 32 hanno una ricchezza di gusto notevole e non-convenzionale, combinano nel palato svariati aromi come il fruttato, il pepato e il floreale: “È il mio stile – spiega Fabiano – e non è detto che piaccia a tutti, ma è giusto così”.
Non siamo però ancora convinti di che cosa voglia veramente dire “artigianale”, così stappiamo una Nebra 10° anniversario (il nome deriva dal Disco di Nebra, una lastra in metallo con applicazioni in oro risalente all’età del Bronzo che raffigura fenomeni astronomici e simboli d’impronta religiosa, rinvenuto nel 1999 in Germania e considerato la più antica rappresentazione del cielo).
La bottiglia è una magnum da un litro e mezzo, valore commerciale 35€: “Il costo non è per me argomento di discussione – taglia netto il mastro birraio – le mie birre non sono per tutti, ma solo per gente curiosa”.
Fabiano la versa piano nei calici, non la inclina mai troppo, facendo attenzione a non smuovere il fondo di lieviti (tipico delle artigianali rifermentate in bottiglia). La Nebra ci sorprende: qualcuno dice “nocciola” e il mastro birraio annuisce soddisfatto: “È una spremuta di nocciole – precisa – con una sensazione di rame ossidato e un floreale-fruttato molto intenso”. “La prima birra al mondo nata dalla collaborazione tra un birrificio e un profumiere” così viene descritta sulla scheda tecnica, e si capisce subito che dentro c’è tanto lavoro e tanti ingredienti, i malti, le spezie, il sambuco, la lavorazione, i lieviti, l’imbottigliamento (non vi ho detto che le 32 hanno un triplo sigillo capsula-tappo corona-tappo silicone).
Dopo la degustazione salutiamo il mastro birraio che ci ha concesso del tempo prezioso: in un’azienda di quattro persone se manca uno si sente. Abbiamo capito che le cose buone hanno un costo e che d’ora in poi, se in un pub ordineremo una birra artigianale, sapremo che non è più un modo di dire, ma un vero e proprio prodotto a parte.