Tutti voi che a vario titolo ricevete questa lettera, siete coinvolti nel campo della gastronomia. Chi per lavoro o professione, chi per motivi di studio e altri per pura passione. Le scienze gastronomiche, quindi, fanno parte della nostra vita. In generale possiamo dire che l’intera umanità “in quanto ella si nutre” si confronta quotidianamente con la gastronomia. Il senso di questa affermazione è stato sviluppato e descritto in modo compiuto ed esaustivo nell’opera letteraria del principale maestro della gastronomia moderna. Si chiamava Jean Anthelme Brillat-Savarin, e visse a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo; l’opera che lo immortalò si intitola “Fisiologia del gusto”.
Dall’anno in cui vide la luce, nel 1825, questo libro non ha avuto eguali per copie diffuse, numero di edizioni e traduzioni. Mantenere per due secoli la presenza nel panorama mondiale dell’editoria è la prova inconfutabile del suo valore e dell’attualità dei suoi contenuti. La “Fisiologia del gusto” è un’opera sui principi generali della gastronomia. Questa parola, che deriva dal greco, ancorché oggi sia universalmente conosciuta e persino abusata, era appena nata ai tempi di Brillat-Savarin. Il libro, quindi, la impone e consacra attraverso principi e descrizioni che hanno il pregio di coinvolgere i lettori. Il grande merito dell’autore è stata la diffusione di idee giuste e di cose esatte con uno stile succulento. La scienza che lui vuole diffondere è la fisiologia, noi oggi la chiameremmo fenomenologia, del gusto.
Ma proprio lo stile è la fortuna di questo libro che appartiene al genere eroicomico oggi, purtroppo, scomparso. Come sottolinea Jean Francois Revel in una introduzione all’edizione francese del 1981: “Noi abbiamo perso il gusto della composizione composita. Nascondere il banale sotto il severo o il serio sotto il comico… Oggi è un’abilità che non è più capita”.
Ecco allora che i capitoli del libro diventano meditazioni, gli aforismi diventano verità di buon senso, le storie di vita personale (nella seconda parte del libro) una narrazione per sottolineare i principi sostenuti. Voglio ancora citare Revel: “Lo stile amabile fa della “Fisiologia del gusto” molto più di un documento storico: ne fa il messale della decolpevolizzazione dell’Epicuro moderno”.
Per questi motivi ritengo importante che tutta la nostra comunità conosca questo testo; nel farvene omaggio, sono sicuro che per molti sarà una piacevole scoperta, e per coloro che già lo conoscono, nutro la certezza che la seconda lettura sarà anche più piacevole della prima. Voglio dirvi con estrema franchezza, che l’impianto di Slow Food, di Terra Madre e dell’Università di Scienze Gastronomiche, è stato fortemente influenzato dalle idee di questo libro; i cui contenuti non vanno presi alla lettera ma rivisitati con la stessa benevolenza dell’autore. Se eroicomico è lo stile del libro, il nostro rapporto dev’essere giocoso. La giocosità ci aiuta a superare le incongruenze del testo e del personaggio, che appartengono a un mondo di due secoli orsono. Per questo motivo i ragionamenti che sviluppo in queste pagine non sono solo la recensione, tardiva, di un grande libro; ma sono la presa di coscienza delle radici teoriche del nostro operare.
Per intenderci, come esempio, vi parlerò di due meditazioni e di un aforisma che hanno attraversato il tempo fino a coinvolgerci. Prima fra tutte la meditazione III “Della gastronomia”, innanzitutto con la sua definizione:
“La gastronomia è la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto egli si nutre”
Tale affermazione è la premessa per comprendere come la gastronomia sia interconnessa alle più disparate discipline della vita umana: la storia naturale, la fisica, la cucina, il commercio e financo l’economia politica. Proprio questo concetto di multidisciplinarietà è il principale pilastro delle scienze gastronomiche.
Mi piace qui ricordare come nel secondo capitolo di “Buono, pulito e giusto”, non solo ho ripreso questi concetti basilari, ma li ho estesi a discipline come l’ecologia, la sociologia e l’antropologia che ai tempi di Brillat o non esistevano o non avevano il complesso significato odierno. La stessa architettura del mio libro, scritto con la collaborazione di Carlo Bogliotti, si rifà alla “Fisiologia del gusto” laddove oltre ai contenuti di pensiero, riporto mie storie personali a supporto delle idee e, spero, per la piacevolezza della lettura.
A conclusione di questa terza meditazione sotto la voce “Accademia dei gastronomi”, Brillat scrive:
“Questo è, a prima vista, il compito della gastronomia, dominio fertile di risultati di ogni genere, e che non può non accrescersi con le scoperte e i lavori dei dotti i quali lo coltiveranno: perché è impossibile che, di qui a pochi anni, non abbia ad avere i suoi accademici e lezioni e professori e concorsi a premio”
Quanto ottimismo sui tempi di realizzazione di questa “profezia”, e quanto stupore nel fatto che essa non sia stata coltivata e realizzata nell’amata Francia. Nessuno può confutare che la prima Università totalmente vocata alle Scienze Gastronomiche si è realizzata nel 2004 a Pollenzo, in Italia.
Vi segnalo poi un’altra meditazione, la XXVIII, per l’esattezza “Dei trattori”. Qui Brillat-Savarin ci descrive la nascita di quel fenomeno che fu la ristorazione moderna. Dopo la Rivoluzione francese, lo sviluppo di questa realtà ha condizionato comportamenti sociali, letterature, guide gastronomiche che ancora oggi influenzano il grande pubblico. Il testo è scritto nel 1825 all’inizio di questa epopea, ma l’autore è ben conscio che la trasformazione resterà nella storia. Da un lato ne indaga la genesi e al contempo ne analizza i modelli, consegnandoci così una base storico-critica di riferimento.
Il primo restaurant fu aperto in Parigi intorno al 1765 dal cuoco Boulanger. Nel 1789 la Rivoluzione abolisce l’impegno dei cuochi a corte e a servizio dei nobili. Questi cuochi senza lavoro mettono a disposizione il proprio talento nei pochi ristoranti dell’epoca, e i più arditi diventano ristoratori a loro volta. Cosicché la cinquantina di ristoranti attivi nel periodo rivoluzionario lievita in diverse migliaia nei primi anni 20 del XIX secolo.
Vorrei ricordare a tutti che nel dicembre del 1989 la fondazione di Slow Food venne consacrata a Parigi nel secondo centenario della Rivoluzione Francese con l’intento celebrativo della nascita della moderna ristorazione. Alcuni di voi erano presenti e certamente ricordano l’enfasi e la giocosità di quel progetto nascente.
Per ultima, ancora una riflessione politico culturale che in tutti questi anni ha conservato un valore quanto mai attuale. Mi riferisco all’aforisma numero III:
“Il destino delle nazioni dipende dal modo con cui si nutriscono”
Nel 1825 Brillat Savarin sintetizza il profondo significato di sovranità alimentare che trova piena considerazione politica solo sul finire del secolo appena trascorso. Come vedete, c’è un filo rosso che unisce la nostra storia di idee e di contenuti con le tematiche della “Fisiologia del gusto”. Per favore, fate un buon uso di questo testo e soprattutto, traetene godimento.
A supporto della lettura della “Fisiologia del Gusto”, vi allego il libro “Gastronomo e Giudice” di Giles Mac Donogh, a mio avviso, un’eccellente biografia di Jean Anthelme Brillat-Savarin. Le doti e le referenze dell’autore di questa biografia sono ampiamente descritte nella prefazione del mio amico Maurice Bensoussan. La lettura di questo libro è raccomandabile non solo per inquadrare il carattere e i pregi dell’autore della “Fisiologia del gusto”; ma, altresì, per capire come l’idea di questo testo sia figlia di un momento storico particolarmente vivace. Voglio ricordare in tre riflessioni quanto è importante conoscere la vita di Brillat e con essa il contesto in cui s’è svolta.
Per prima cosa è importante capire come la formazione di base di quest’uomo straordinario s’è dispiegata nella profonda provincia francese. In quelle terre del Burgey che un secolo prima della nascita del nostro gastronomo, appartenevano al ducato di Savoia, si sviluppano gli anni di formazione e apprendistato del giovane Jean Anthelme. Nel 1781 egli è un brillante magistrato nella sua città natale, Belley. In questa veste viene scelto come deputato per gli Stati Generali in rappresentanza del Terzo Stato. L’Assemblea, in cui è cooptato il giovane Brillat-Savarin, vivrà i movimenti più significativi della grande Rivoluzione. Non ci è difficile immaginare lo scatto culturale vissuto dal giovane magistrato, catapultato da una piccola cittadina di provincia nel cuore della Parigi rivoluzionaria. Senza questo trauma non esisterebbe tutta la storia che stiamo narrando.
Come secondo elemento per la conoscenza della sua esistenza, ci metterei la vita peregrinante da Parigi a Ginevra e poi a Boston, per ritornare in patria nel 1796. Sfuggito alle persecuzioni del Terrore, il suo vagabondaggio politico diventa una grande esperienza di vita. Un’avventura cosmopolita niente affatto scontata sul finire del XVIII secolo.
Per finire, la cosa che più mi affascina e mi sconcerta di questa avventura umana, è legata alla genesi del suo capolavoro letterario. La “Fisiologia del Gusto” è edita nell’autunno del 1825 a spese dell’autore poiché non aveva trovato editore che volesse stamparla. Diffusa con molta parsimonia nell’area parigina, suscita un discreto interesse. Pochi mesi dopo, per l’esattezza il primo febbraio del 1826, la vita di Jean Anthelme Brillat-Savarin si spegne per un’improvvisa e mortale polmonite.
Il manoscritto non trovò l’apprezzamento degli eredi. Riporta Mac Donogh: “A quanto si dice, il colonello Frederic (fratello del defunto) liquidò la ‘Fisiologia del gusto’ con il commento: “E che diavolo ce ne faremo? Liberiamocene””. I diritti vennero venduti per 1500 franchi e di qui partì l’interminabile proliferazione di edizioni in ogni angolo del mondo. Sostanzialmente l’autore neppure sospettava l’immensa fortuna della sua opera!
Questo finale della storia diventa, a suo modo, motivo di riflessione. Mai pensare che le buone opere si concretizzino solo con il successo immediato. Ogni attività che intraprendiamo, se realizzata con scrupolo e onestà, merita di essere realizzata. Può volerci pazienza prima che arrivi il riconoscimento o il profitto. Badate bene, però, che né il riconoscimento, e neppure l’immediato profitto, sono gli unici parametri per valutare la bontà di un’idea.
Nel concludere questo lungo capitolo, spero di non avervi tediati e vi affido questi due testi; possano essere motivo di una buona lettura:
- Innanzitutto per voi studenti, futuri gastronomi. Sarete tali se le fondamenta del vostro sapere saranno solide. La storia della moderna gastronomia attende nuovi capitoli, sarete voi a scriverli. Per realizzare ciò, dovete però conoscere i precedenti.
- A voi docenti e studiosi che in buona parte siete stati formati in diverse discipline e siete oggi stimolati a confrontarvi con le scienze gastronomiche. Pollenzo e l’Accademia Italiana hanno realizzato la classe di laurea in Scienze Gastronomiche, ma non ancora l’insegnamento della Gastronomia. Un insegnamento, per sua natura complesso, che dovrà lasciarsi contaminare da tutte le discipline che a vario titolo gravitano intorno al cibo. Dobbiamo abbattere il dogma di una cultura a compartimenti stagni e trovare il valore nelle interconnessioni: la gastronomia in questo è maestra.
- A voi dirigenti di Slow Food e dell’Università dislocati nelle varie entità operative. Buona parte del merito di quello che nel tempo si è concretizzato è frutto del vostro lavoro. Queste letture vi diranno che ciò che si è fatto aveva un senso e una sua storia precedente. La vasta rete dei soci Slow Food, di Terra Madre e degli ex allievi di Pollenzo si rinfranca di questi saperi: cerchiamo dunque di trasmetterli.
- A voi tutti che a vario titolo sostenete la nostra Università e il nostro movimento. Voi che con generosità gestite il governo delle nostre imprese. Conoscere le radici teoriche serve a comprendere la nostra storia. La nostra impresa viene da lontano e ha davanti un lungo percorso e vaste praterie: merita di essere condivisa e aiutata.
- Infine a voi, ultimi ma non ultimi. La vasta schiera di tutti coloro che collaborano garantendo questa grande macchina organizzativa. La moltitudine dei vostri impieghi è varia e articolata. Chi lavora in amministrazione, chi in cucina, chi in magazzino, chi in segreteria: in tante piccole unità, con il vostro lavoro quotidiano sostenete le nostre strutture. Voi non siete la parte operativa che per scelta rinuncia ai saperi perché essi sono il privilegio della prima linea. So con quanta passione e con quanto affetto vivete questa nostra realtà e di questo vi sono eternamente grato. Queste riflessioni e questi libri vi appartengono più di quello che pensate; fatene buon uso.
Termino immaginando questo invito alla lettura come un invito a tavola; per questo, con le dovute varianti, l’aforisma numero XX della “Fisiologia del gusto” calza a pennello:
“Invitare una persona è occuparsi della sua felicità durante tutto il tempo ch’essa passa sotto il vostro tetto”.