Nel complesso periodo storico che stiamo vivendo, dove il mondo intero è sconquassato dalla pandemia, in un clima di destrutturazione, incertezza e sconforto, mi sono trovato più volte a riflettere su quale sia il modello ancora in grado di aggregare e organizzare la partecipazione delle persone in maniera duratura. Come possiamo trasmettere il senso di appartenenza pur essendo in tempi di distanziamento fisico? Quali insegnamenti possiamo trarre dalle difficoltà oggettive che affrontiamo in questo periodo?
La risposta l’ho trovata nel concetto di comunità. Nella mia vita ho avuto la fortuna di entrare in contatto con moltissime comunità negli angoli più diversi e spesso remoti del mondo. Ciò mi ha permesso di fare esperienza diretta della solidità e della forza creatrice di questa forma organizzativa, vincente dal punto di vista sociale, culturale ed economico.
Del resto, nella nostra storia questo concetto ha caratterizzato l’essenza associativa di Terra Madre: fin dal principio, abbiamo definito comunità del cibo le strutture di base della rete. Nel Congresso di Chengdu l’impulso a cambiare la pelle di Slow Food attraverso un lento processo di costruzione delle comunità, è stato il segnale più forte e più innovativo. È vero, il processo è stato lento, ma negli ultimi tempi mi è parso che abbia ripreso forza: è infatti di pochi giorni fa la costituzione di una comunità Slow Food realizzata a Partinico su un fondo confiscato alla mafia.

Questa riflessione però la voglio dedicare in modo particolare alla comunità che più di ogni altra, per me, significa “casa”: la mia comunità braidese, composta da tutti voi, che a vario titolo fate parte di Slow Food e dell’Università di Scienze Gastronomiche. Persone, luoghi, memorie, emozioni speciali a cui fare ritorno dopo ogni viaggio, dove il senso di appartenenza è così forte che a tratti è difficile distinguere la mia individualità. Spero che la convinzione e fiducia che ripongo nelle potenzialità di questo pensiero giunga anche a voi, affinché possiate farlo vostro e praticarlo nella quotidianità.
Partiamo dalle basi: la comunità è la forma aggregativa più antica della storia. L’individualismo della società moderna ha però fatto sì che venisse screditata, negando l’importanza a valori fondamentali per lo sviluppo dei gruppi umani in senso ampio, quali la cooperazione, l’intelligenza affettiva e “l’austera anarchia”.
La cooperazione, anche se non molto praticata, fra i tre è il concetto più comunemente utilizzato, che mira a garantire un mondo promettente per i suoi abitanti. Si supera così il dogma della competitività tipico del nostro agire odierno. Le comunità sono i luoghi a mio avviso più adatti per scardinare questa logica di pensiero, che genera ansia, frustrazione e un continuo senso di inadeguatezza. Partendo dal basso, da piccoli cambiamenti quotidiani condivisi dalla collettività, è possibile ricostruire un tessuto adatto alla realizzazione umana universale.
L’intelligenza affettiva consente di sentirci parte di una comunità di destino che condivide un percorso comune, pur nel rispetto di ciascuna individualità. In questo modo si scardina completamente quel già citato concetto di competitività, che viene naturalmente sostituito dalla sicurezza affettiva, capace di ridimensionare l’ansia da performance. Le comunità sono anche luoghi in cui è possibile praticare la reciprocità, dove è concesso commettere errori senza per questo essere esclusi, dove non sono richieste continue prestazioni. Inoltre, i suoi membri hanno tutti a cuore la cura del bene comune, che nel nostro caso si identifica con il cibo “Buono, Pulito e Giusto” per tutti, abbracciando tutto ciò che ne deriva: l’ambiente, la giustizia sociale, il rapporto tra generazioni. L’identificazione in un progetto comune genera una spontanea rete di relazioni e di vicinanze, che non può essere scalfita dall’esterno. Un collante molto più efficace di qualsiasi adesione formale o regola imposta dall’alto.
“L’austera anarchia” permette a sua volta un rovesciamento concettuale del modello organizzativo che ha caratterizzato la nostra società da più di un secolo a questa parte. E’ il superamento delle tendenze conservative e degli schemi rigidi di governo: un modo di pensare e agire in libertà, che favorisce la diversità e la realizzazione individuale, senza compromettere il benessere comune.
Non dimentichiamoci infatti che la vera forza della comunità è che il tutto è ben più della semplice somma delle parti. E che la mera totalità degli interessi individuali non è mai in grado di creare un mondo migliore. Il valore si ha nell’unione, e non c’è benessere se non è per tutti.
A differenza di quello che accade in altre organizzazioni strutturate, nella comunità la partecipazione si pratica con la presenza e con l’impegno, e le progettualità nascono dalla cooperazione e dal confronto. L’organizzazione è fluida e si modifica a seconda delle esigenze e dell’apporto che i singoli possono offrire in un dato momento.
Tutto ciò corrisponde alla nostra realtà? Le nostre esigenze organizzative, le ferree leggi di bilancio, i meccanismi di governance, sono compatibili con queste suggestioni? Le buone idee e le buone pratiche hanno tempi lenti e quel che conta è intraprendere una strada virtuosa. Ci vuole pazienza per correggere il tiro rispetto a pratiche che troppe volte riteniamo intoccabili. Ognuno di noi ha la potenzialità di generare cambiamento: dobbiamo farci carico di questa consapevolezza che è al contempo una responsabilità.
Mi preme inoltre ricordarvi due sentimenti che penso debbano sempre accompagnarci durante la convivenza all’interno di questa nostra comunità: la compassione e l’amicizia sociale. Mi rivolgo in particolare a voi giovani studenti, augurandovi che questi strumenti possano sempre distinguere il vostro percorso di vita, a prescindere dai luoghi dove questo avverrà.
La compassione ci rende esseri umani attenti, in grado di intercettare le gioie e le sofferenze altrui facendole anche un po’ nostre. L’amicizia sociale a sua volta è capace di andare oltre l’affinità nazionale, sociale, economica e culturale. Ci aiuta a superare tutte quelle cecità che ci portano a chiuderci nel nostro piccolo angolo di benessere: l’universo intero diventa il nostro orizzonte.
Sono fiducioso del fatto che in presenza di uno spirito compassionevole e un legame fraterno, il risultato delle nostre azioni non potranno che tendere ad una società più equa.
Fatte queste premesse, a mio avviso la comunità di cui voi siete membri, nonché rappresentati virtuosi, non è dunque solo un mero modello organizzativo, ma un vero e proprio modo di approcciarsi al mondo, etico e anche politico. Questa visione di cui ho voluto rendervi partecipi e con la quale mi identifico molto, rappresenta per me una risposta anche nei tempi difficili che stiamo vivendo.
Costretti alla distanza fisica, alla rinuncia di quella convivialità che ci piace tanto, proviamo tutti un acuto bisogno di “buona compagnia”. Solo in questo modo la distanza fisica, può rimanere tale, senza sfociare in isolamento e sconforto.
E per rinsaldare questo senso di comunità e farlo nostro anche oggi, c’è uno strumento metodologico e politico che ci può venire incontro: il dialogo. Ci troviamo costretti a rinunciare a molti dei nostri impegni, a parte della nostra quotidiana normalità accettando ritmi più lenti. Nel fare ciò, il dialogo può prepararci al periodo di rigenerazione che ci attende. È questo il tempo di aprirsi ad un confronto libero, attraverso il quale arricchirsi reciprocamente.
Al contempo, può darsi che le rigide logiche dei numeri ci costringano a scelte dolorose. Quanto è accaduto e sta accadendo non solo non era prevedibile, ma si manifesta con una inaudita violenza. Questa dura realtà può indurci a pensare che simili idee riguardo al senso di comunità, alla compassione, alla fraternità, all’intelligenza affettiva siano il portato di prediche astratte, di una visione surreale. Per contro, il rude pragmatismo che governa magari con la forza, parrebbe l’unica opzione realista e percorribile. Con questa dualità di pensiero dovremo convivere, farcene una ragione, prepararci alla difficile sfida del cambiamento.
Solo se ci sentiremo tutti quanti parte di questa nostra variegata realtà, saremo in grado di cogliere l’opportunità della sfida che ci si prospetta. Penso infatti che non sia l’assenza di problemi ad essere per noi una fonte di felicità: al contrario, fronteggiare le difficoltà, mettersi in gioco per superarle, lottare per cambiare una situazione ingiusta, creare narrazioni alternative: questa è l’essenza della felicità.
Dobbiamo quindi dare coraggio al nostro desiderio di pensare ad un futuro differente, un nuovo umanesimo che rimetta al centro la solidarietà come valore irrinunciabile del nostro esistere. Sono fortemente convinto che una comunità così diversa come lo è la nostra, sia il terreno fertile su cui far crescere nuove prassi ed abitudini che grazie al contributo di ognuno di noi, rendano più concreta la possibilità di un futuro sostenibile e giusto.
Al nostro interno, la diversità si manifesta attraverso l’esperienza di chi ha speso anni di lavoro per il movimento, ma anche con la forza creatrice di giovani ventenni che guardano al futuro. Molti di noi sono stanziali su questo territorio, altri sono di passaggio. Siamo donne e uomini che possono e devono interagire di più: aprirsi al dialogo tra gruppi diversi è bello e intelligente.
Ecco dunque il mio invito: rinnovate il percorso di azione e di partecipazione, scoprendo il piacere di realizzare una nuova aggregazione. Spero possiamo tutti riconoscerci nella volontà comune di cambiare concretamente i nostri comportamenti individuali e promuovere un modello diverso di convivenza civile e di approccio integrale. Pronti, nel piccolo della nostra quotidianità, a farci promotori di un nuovo paradigma.
Ora è il vostro momento di proseguire la riflessione, spero che i miei spunti possano esservi d’aiuto. Sentitevi parte integrante della comunità braidese a cui appartenete, e che a vario titolo vi ha accolto. Coinvolgete le persone che fanno parte della vostra quotidianità, costruite un dialogo che ci aiuti ad uscire da questo periodo più umani, più consapevoli.
Facciamo nostro il senso di comunità, pratichiamolo ogni giorno: possa essere questo il proposito da custodire e da mettere in pratica nell’anno a venire.