Sono molte le tradizioni popolari riguardanti il Natale che hanno per lunghi secoli segnato il vivere delle popolazioni rurali delle colline piemontesi. Le grandi, epocali trasformazioni che hanno segnato il Novecento italiano hanno modificato e trasformato in profondità anche molte di queste ritualità e credenze che il mondo contadino aveva sedimentato nella sua storia millenaria. Non tutti i saperi tradizionali si sono però persi, anzi sempre di più gli studiosi riscontrano una vitalità imprevista, talvolta nascosta, che attesta quanto la tradizione sia veramente un fenomeno vitale, una “innovazione ben riuscita”, come ha efficacemente sintetizzato Massimo Montanari (2004, p. 10). Oggigiorno questa vitalità, nella ritualità del Natale, si manifesta soprattutto nei molti Presepi viventi che animano un gran numero di comunità e che parrocchie, pro-loco, gruppi alpini, ecc. promuovono un po’ ovunque sul territorio della regione (Borra, 1998, p. LII; Grimaldi, Nattino, 2009).
Il Natale nelle comunità di buona parte del Piemonte era tradizionalmente preparato dalla novena, celebrata in ciascuna parrocchia attingendo ad un antico repertorio di canti e laude sacre (Morelli, 2001). In molte zone della regione (nel Monferrato e nell’Alessandrino, ma anche nel Roero, nel Novarese, nella stessa Torino) nei giorni natalizi era (ed è) messa in scena la rappresentazione di Gelindo, sia nelle stalle durante le veglie invernali sia dalle compagnie filodrammatiche che, a partire dalla fine dell’Ottocento, hanno animato i teatri di parrocchie e oratori. Si tratta di un antico copione di ascendenza forse seicentesca, che venne stampato per la prima volta ad Asti nel 1809 e poi successivamente ripubblicato decine e decine di volte da molte tipografie monferrine, torinesi, novaresi, ecc. (Fassino, 2013). Gelindo nella commedia personificava un bonario contadino del Monferrato, proprietario della capanna in cui nacque Gesù Bambino: nella tradizione piemontese a dare accoglienza al Dio fatto uomo è dunque un agricoltore, e non un pastore (Petrini, 2008). Dall’insicuro e sbadato carattere del Gelindo della commedia è derivato il detto “Gelindo ritorna” e l’appellativo di “Gelindo” con cui ancora nelle campagne del Piemonte talvolta capita di sentir indicare una persona particolarmente sbadata, che dimenticando sempre qualcosa, è costretta a tornare più volte sui propri passi (Renier, 1896; Leydi, 2001). Ma è proprio per il fatto di essere sempre in ritardo, per la propria inettitudine e sbadataggine, che il Gelindo piemontese riesce poi ad incontrare la Sacra Famiglia.
La notte di Natale era una delle più magiche notti dell’anno. Prima di andare alla messa di mezzanotte veniva portato in casa un ceppo, el süc ’d Natal, che dopo esser stato lasciato a seccare un paio di anni sotto il portico della cascina veniva quindi messo a bruciare nel camino. Il focolare, vero e proprio “altare domestico” (Baldini, Bellosi, 2012, pp. 65-92), avrebbe accolto e riscaldato Gesù Bambino nel momento in cui fosse passato a portare i propri doni. Inoltre bruciando pian piano avrebbe così atteso il ritorno della famiglia dalla messa della veglia: in quel momento la famiglia si scambiava gli auguri e i pochi, simbolici regali che la povertà del mondo contadino poteva permettere. La fiamma del ceppo di Natale era giudicata foriera di indicazioni sull’anno venturo. Lo ha ricordato recentemente anche padre Enzo Bianchi nelle sue memorie intitolate Ogni cosa alla sua stagione, in cui rievocando la propria infanzia monferrina scrive: «Se al ritorno dalla messa si trovava il ceppo che ardeva di un fuoco robusto si diceva “Buon segno, ci sarà pace in famiglia e con i vicini”; se invece faticava a bruciare ci si diceva sconsolati “Eh, quest’anno non andrà tanto bene…”» (Bianchi, 2010, pp. 71-72; cfr. anche Bianchi, 2008, pp. 79-86). I carboni del ceppo natalizio venivano poi conservati ed esposti in occasione dei temporali estivi, al fine di preservare i raccolti dai danni causati dalla grandine. Ricchi di indicazioni predittive sulla futura annata agraria sono anche i proverbi meteorologici legati a dicembre e al Natale: Dsember trop bel, a marca pa ’n bôn ann nôvel (Un dicembre troppo bello non preannuncia un anno nuovo troppo buono) – Fioca dsembiña, a dura fin ch’a dura la briña (La neve di dicembre dura fino a che dura la brina) – Quand a s’vá a mëssa ’d mesaneujt côn la luña, s’i-t l’as dôe vache, vend’ne uña (Quando si va alla messa di Natale con la luna, se hai due mucche, vendine una) – A Natal ij môscôn, a Pasqua j giassôn (A Natale con i mosconi, a Pasqua con i geloni; Seglie, 1939, p. 17; Grimaldi, 1993, p. 212).
Alcune famiglie facevano in casa il presepe, che veniva allestito altresì in molte parrocchie. Nelle chiese del territorio non mancavano anche rappresentazioni natalizie ed epifaniche che ricordavano ai fedeli tutto l’anno il mistero natalizio dell’incarnazione: fra le molte che si potrebbero ricordare va senz’altro segnalato l’affresco trecentesco dell’Adorazione dei Magi nel chiostro della canonica regolare di Vezzolano, uno fra i più importanti complessi romanici italiani, posto nel cuore del Basso Monferrato astigiano. Qui la nascita di Cristo è raffigurata congiuntamente all’anima di un defunto presentato alla Vergine con il Bambino da un angelo e alla raffigurazione dei Tre vivi e dei tre morti: un accostamento non casuale che, come ha messo in luce Chiara Frugoni in alcuni suoi studi, vuole significare come il morto di Vezzolano – che al termine della propria vita incontra Cristo in paradiso – sia in fondo come i Magi che, dopo un lungo cammino, incontrano il divino bambino nella capanna di Betlemme (Frugoni, 1967-68, pp. 191-197; 1982, pp. 435-436; Garrison, 1943-45, pp. 33-35). I dodici giorni che dalla vigilia di Natale conducono all’Epifania erano peraltro considerati dalle culture popolari un “periodo aperto alla presenza e alla circolazione dei defunti”, come hanno scritto Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi nel loro bel libro Tenebroso Natale. I giorni natalizi avvolti dalla gioia per la nascita di Cristo, non erano quindi esenti dalle presenze inferiche, come è ad esempio la Befana, la Vecchia per eccellenza, rappresentazione della Madre Terra che nel lungo inverno è infruttifera e decrepita. La befana però con i suoi doni, dolci e frutta, porterà il compimento della promessa del tempo che si rinnova, con l’allungarsi delle giornate che attestano come sia ormai superata la crisi del solstizio d’inverno: una nuova stagione agraria è alle porte e il tempo grasso del carnevale che seguirà già la annuncia (Baldini, Bellosi, 2012).
Bibliografia
- Baldini Eraldo, Bellosi Giuseppe (2012), Tenebroso Natale. Il lato oscuro della Grande Festa, Roma-Bari, Laterza.
- Bianchi Enzo (2008), Il pane di ieri, Torino, Einaudi.
- Bianchi Enzo (2010), Ogni cosa alla sua stagione, Torino, Einaudi.
- Borra Agostino (1998), “Gelindo ritorna!”. Il teatro popolare sacro tra “reliquie” e riproposte, in Agostino Barolo, Folklore monferrino, a cura di Piercarlo Grimaldi, Torino-Asti, Omega Edizioni-Provincia di Asti, pp. XLIII-LV.
- Fassino Gianpaolo (2013), Le edizioni astigiane del Gelindo, in Gelindo. Una tradizione natalizia tra Alessandria e Monferrato – A Christmas Tradition between Alessandria and Monferrato, a cura di Michele Filippo Fontefrancesco, Lu, Associazione Culturale San Giacomo, pp. 39-55.
- Frugoni Chiara (1967-1968), Il tema dell’Incontro dei tre vivi e dei tre morti nella tradizione medioevale italiana, in “Atti della Accademia nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Memorie”, serie VIII, vol. XIII, fasc. 3, pp. 145-251.
- Frugoni Chiara (1982), La protesta affidata, in “Quaderni storici”, XVII, n. 50, pp. 426-448.
- Garrison Edward B. jr. (1943-1945), A New Devotional Panel Type in Fourteenth Century Italy, in “Marsyas”, III, pp. 15-69.
- Grimaldi Piercarlo (1993), Il calendario rituale contadino. Il tempo della festa e del lavoro fra tradizione e complessità sociale, Milano, Franco Angeli.
- Grimaldi Piercarlo, Nattino Luciano (a cura di) (2009), Il teatro della vita. Le feste tradizionali in Piemonte, Torino, Omega.
- Leydi Roberto (2001), Gelindo ritorna. Il Natale in Piemonte, Torino, Omega.
- Montanari Massimo (2004), Il cibo come cultura, Roma-Bari, Laterza.
- Morelli Renato (a cura di) (2001), Dolce felice notte… I sacri canti di Giovanni Battista Michi (Tesero, 1651-1690) e i canti di questua natalizio-epifanici nell’arco alpino, dal Concilio di Trento alla tradizione orale contemporanea, Trento, Provincia autonoma di Trento.
- Petrini Carlo (2008), Il contadino imbucato nella sacra grotta, in “La Repubblica”, 21 dicembre 2008 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/12/21/il-contadino-imbucato-nella-sacra-grotta.html).
- Renier Rodolfo (1896=1971), Il “Gelindo” dramma sacro piemontese della Natività di Cristo, Torino, Carlo Clausen; ristampa anastatica Torino, Bottega d’Erasmo.
- Seglie Giuseppe (1939), 4300 prôverbi piemôntejs, Torino, Seglie.